Dai Learning Objects ai Knowledge Object. Cosa produce la RETE?
Oltre alla entusiasmante esplorazione che si svolge con l’immediatezza, la fluidità e la semplicità di un videogame in soggettiva, Google Earth offre altri strumenti per chi passeggia su tutto il globo restandosene comodamente a casa propria.
Questa definizione entusiasmante, fa di Google Earth un eccezionale oggetto di apprendimento a distanza?
Può la tecnologia, sfruttando le logiche reticolari, migliorare il trasferimento di conoscenza? È in grado la tecnologia di riuscire a innovare un processo trasmissivo tradizionalmente esperienziale e tacitamente codificato, sostituendosi ad esso come strumento efficace ed equipollente di apprendimento? – di Giuseppina Rita (Jose) Mangione e Caterina Policaro
(pubblicato originalmente su Idearium)
IN UN FUTURO CHE È GIÀ PASSATO E PRESENTE…
Un grande schermo ultra piatto sulla scrivania e una donna comodamente seduta che sembra dialogare con il computer senza mettere mano sulla tastiera, parlandoci direttamente ci interagisce. La donna ora sta vedendo un film ma tante sono le cose da fare oggi. Con il solo movimento della mano in aria fa ruotare le icone (tipico dei Mac…) e cerca altri media video quel film non la soddisfa.
E’ anche il momento di controllare i due giovani chimici e i loro esperimenti nel laboratorio virtuale, di là nella loro stanza, sul loro computer. Altro giro di mano sulle icone e collegamento diretto a video con i due ragazzi (uno dei due con problemi di movimento e manualità che in un laboratorio scolastico non potrebbe certo maneggiare niente) che, sensore sul polso e realtà virtuale collegata, maneggiano ampolle e sostanze, armeggiano, versano e…boom esplode il composto…fortunatamente solo su video. Fortuna che possono ritentare più volte ed in tutta sicurezza, fino a che non avranno imparato il giusto dosaggio degli elementi. Il professore in remoto, dal suo studio, si accorge dell’esplosione e si collega con i due ragazzi, spiegando loro i grossi errori commessi nell’esperimento. La donna li lascia sperimentare e, mano ruotante ancora sulle icone, si collega con una ragazza down. E’ il suo compleanno vorrebbe fare la torta.
Presto fatto. Sempre ruotando le icone con la mano la donna trova la ricetta giusta e la invia allo schermo che la ragazza ha in cucina. E’ un libro di ricette interattivo e a fumetti con lo chef virtuale che spiega passo passo tutte le procedure per far si che dagli ingredienti si arrivi alla torta. La ragazza ci può anche parlare mentre impasta gli ingredienti, lo chef dal video aspetta e consiglia e fa anche vedere come si fa, quando necessario. Giunge poi il momento per la donna di confrontarsi con l’architetto. Direttamente dal video lui le fa vedere le modifiche alla casa in tre dimensioni, secondo quelli che sono i desideri della donna, poi si accordano, si parlano condividendo le piantine e le modifiche in tempo reale. Ancora un giro di mano e di icone per il corso di lingue online: francese. Come ordinare e far bella figura al ristorante francese.
Certo che l’e-learning sembra aver fatto passi da gigante in questi ultimi anni: realtà virtuale, laboratori virtuali, apprendimento esperienziale in collaborazione ed in remoto con altre persone, oggetti di apprendimento condivisi che viaggiano su piattaforme e-learning, tecnologie per i disabili, computer come multimedia center personale e strumento d’eccellenza per la formazione in rete e per la comunicazione digitale ecc…
La donna che interagisce mediante il computer potrebbe essere ognuno di noi, oggi. In realtà questo è quanto accade in un video dal titolo “FutureShock” della Apple del 1988…che anticipava già 18 anni fa quanto le tecnologie avrebbero pesato sull’e-learning e quanto avrebbero cambiato la vita delle persone.
Il video è quanto mai attuale perché ben mostra precorrendo i tempi e i processi di apprendimento online mediante l’e-learning e le tecnologie praticamente integrate nella quotidianità. [1]
DOV’È LA CONOSCENZA CHE ABBIAMO PERSO NELL’INFORMAZIONE?
Il vivere in una società della rete implica anche un modo nuovo di vedere la conoscenza, sia nel suo formarsi che nel suo avvalersene: la conoscenza, come si usa ormai dire, è distribuita, non esiste solo dentro di noi. Ci basiamo costantemente su supporti, ausili (tecnici, umani) dislocati al di fuori, in qualche caso anche lontani fisicamente (dati, risorse e persone, dispositivi, collegamenti che possono attivarsi).
“La conoscenza è conoscenza solo in quanto organizzazione, solo in quanto messa in relazione e in contesto delle informazioni. Esse costituiscono frammenti di sapere dispersi”.[2]
Non si tratta di valorizzare i mezzi pensieri, ma la qualità fondamentale della mente umana di contestualizzare e integrare le informazioni, le strategie di conoscenza e apprendimento messe in atto per trasformare i mezzi pensieri in pensieri che abbiano un significato.
Nel villaggio globale proprio le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione offrono strumenti coerenti con un’idea formativa orientata alla costruzione attiva di un sapere dinamico, piuttosto che con un’idea che si basi sulla trasmissione di un sapere certo. I media post-gutenberghiani invitano ad infrangere gli schemi di articolazione lineare del sapere, la divisione in blocchi autonomi della conoscenza, la logica dimostrativa, il ragionamento ipotetico deduttivo – per attivare strategie di conoscenza alternative: la contemporaneità, la contaminazione, la logica mostrativa, il ragionamento analogico. La rete Internet ci permette di negoziare nuove forme di esperire all’interno delle quali l’interattività gioca a ridefinire una mappa nuova della conoscenza e dell’esperienza.
Lo spazio virtuale come “media building” (termine coniato dal filosofo e urbanista francese Paul Virilio), cioè palazzo mediale, dove la funzione dell’informazione prevale su quella di abitazione. Il cyberspazio diventerà il centro di gravità nell’ecologia della comunicazione [3], occorre saper trovare l’informazione che ci interessa, apprendendo allo stesso tempo, nel farlo.
Forse la tecnologia spaventa e c’è da chiedersi: dove arriveremo di questo passo?
Immobilità ed atrofia dei sensi vs potenziamento ed estensione del corpo e della mente?
La virtualizzazione dei sensi, dice Levy [4], è una loro estensione. Il corpo resta il protagonista del rapporto con la macchina: non si tratta di interazione uomo-macchina, ma pur sempre di interazione uomo-uomo mediata dalla macchina[5] .
La società della conoscenza definisce nuove formule di accesso, costruzione e scambio di Know how e informazioni in termini di singoli oggetti (learning objects) e nuove dinamiche di relazione fra i soggetti connessi. Le reti poi rendono disponibili modalità educative centrate sul processo sociale all’interno delle quali è possibile apprendere in maniera attiva. Frutto di una continua reinvenzione e reinterpretazione l’E-knowledge guarda ai flussi dei processi conoscitivi che coinvolgono contenuti, contesti, reti e comunità [Norris et al. 2003].
Le ICT sono potenti strumenti per “disseminare” conoscenza dis-embedded (portata via dal contesto); per ricevere e risituare l’informazione nel contesto (re-embedding) occorre reimmergersi nella “pratica” che è ciò che fa da fulcro base alla conoscenza stessa. Si ritiene che, affinché la conoscenza incorporata nel contesto possa essere manipolata e digitalmente condivisa le tecnologie dovrebbero interagire e completarsi con altri media all’interno di sistemi integrati (tecnologici e/o sociali) che rendano possibile una gestione della conoscenza in tutte le sue forme.
Gli ambienti di apprendimento costruttivisti, e la didattica per problemi, spingono lo studente ad impossessarsi dei contenuti necessari a risolverli (learning by doing). Quindi i learning objects da soli non bastano ma occorre pensare alla implementazione di un tipo di apprendimento per scoperta e azione in cui l’enfasi non sia più sul singolo learning object ma su una struttura di obiettivi e modelli concettualmente e didatticamente collegati fra loro che possano costituire un ambiente integrato e soprattutto esperienziale. Si parla oramai di Knowledge Object, oggetti di conoscenza, in una accezione più ampia rispetto ai learning object, di valorizzazione di quelle pillole informali [6], che favorisce passaggio da “dato” a “chunks” riusabili, da tacito ad esplicito. Unità autonoma di conoscenza selezionata e strutturata in modo da essere facilmente applicata, condivisa, archiviata e recuperata all’interno di molteplici processi di comunicazione, formazione ed informazione. La conoscenza infatti per essere descritta come tale, deve contenere alcuni elementi chiave quali:
– la descrizione, la scoperta e lo scambio di contenuti che devono essere descritti e accessibili in modalità standardizzate ed interoperabili;
– interazione dell’utente con il contenuto stesso e possibilità di tracciamento del contenuto, indipendentemente dalla tecnologia utilizzata;
– interoperabilità degli applicativi mediante interfacce standardizzate;
– interoperabilità delle infrastrutture.
I knowledge object dovranno essere in grado di catturare contenuto e contesto in maniera indipendente. L’accesso alle reti di conoscenza fornisce canali sia taciti che espliciti di conoscenza.
Gli standard, gli strumenti e i processi si fanno più sofisticati, pragmatici e utili con focus sulle informazioni, non solamente sugli standard. Le reti di conoscenza e le comunità di pratica diventano gli epicentri per la creazione e la condivisione della conoscenza tacita, le risorse e le reti sono oltremodo dinamiche, la cattura automatica di conoscenza e il suo aggiornamento autonomo creano sostanzialmente oggetti di conoscenza più economici.
Le conversazioni si aggregano agli oggetti di conoscenza da una ampia gamma di fonti, dalle risorse tradizionali, ai blog individuali, ai forum alla conoscenza condivisa nelle comunità di pratica. I processi di creazione e di aggiornamento si routinizzano e la gestione dei diritti digitali sposta il suo focus sulla capacità delle persone di condividere la conoscenza e di condividerne anche il controllo.
L’evoluzione è tutta proiettata verso standard pragmatici e strumenti utilizzabili che riflettano la pratica stessa di utilizzo da parte degli utenti, verso strumenti di gestione a basso costo disponibili a tutti (soprattutto Open Source), verso approcci di creazione e riutilizzo di knowledge object im-mediati, verso la capacità di liberare gli oggetti di conoscenza dai repositories dove abitualmente sono contenuti e vengono ricercati, per lo scambio con altri utenti, verso strumenti di condivisione dinamici che supportano la conoscenza di rete e le comunità di pratica, e soprattutto verso scambi di conoscenza che riducano sensibilmente il costo di scambio.
Vedremo più avanti come un tool gratuito messo a disposizione degli utenti da parte di Google (Google Earth, nello specifico) si stia allineando a questa tendenza di produzione non di Learning Object, che ricordiamo, per essere tali necessitano di un obiettivo didattico specifico che sottintende alla loro creazione, ma di knowledge object, soprattutto per l’uso e la condivisione che ne fanno gli utenti. A volte è internet stessa che produce knowledge object!
INSTRUCTIONAL DESIGN VERSO UN APPREDIMENTO ESPERENZIALE?
Occorre guardare alle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione come strumenti (o ambienti) che facilitano e enfatizzano un approccio costruzionista alla formazione; le nuove tecnologie vanno progettate o adattare in maniera situata, direttamente all’interno del contesto in cui verranno applicate.
Il ventaglio di possibilità per il progettista di formazione in rete è ampio e la validità dei modelli dipende dal soddisfacimento uno o più di quelli che D. Merrill (2001) definisce i Principi Primi dell’Istruzione, ossia problem, activation, demonstration, application, integration.
L’insegnamento deve essere multisensoriale e in grado di supportare diverse abilità e le diverse intelligenze dell’apprendimento e dello sviluppo [Semper, 1990], garantendo l’accesso alle modalità dell’apprendimento, da quella linguistica, a quella spaziale, a quella quantitativa [Gardner, 1991][7].
Alcuni studi [8]che dimostrano che le nostre modalità di conoscenza naturali sono quelle legate alla modalità percettivo-motoria (che prevede attività esperienziali che percepiscono e agiscono sulla realtà), e non a quella simbolico-ricostruttiva (che consiste nella decodifica di simboli a cui attribuire dei significati e che viene appresa con l’alfabetizzazione). Possiamo facilmente dedurre la necessità di acquisire fra i prodotti della conoscenza, e quindi i simboli che le interazioni sociali dovranno negoziare e scambiare, oggetti espressi in forme diverse (multimediali).
Occorre pensare alla rimediazione [9] per la valorizzazione dell’apprendimento ed è utile analizzare meglio come la tecnologia dei nuovi media faciliti o meno la crescita (formativa) della nostra esperienza e conoscenza. E’ bene richiamare alla memoria una frase meno nota di McLuhan: l’utente è il contenuto [10] che dovrebbe essere tenuta in dovuta considerazione nella fase di progettazione ed erogazione di un corso on line e dovrebbe essere integrata con l’altra asserzione più famosa: il medium è il messaggio.
L’uso strategico dei nuovi media dà ai designer la possibilità di creare un nuovo spazio, lo spazio del sapere esperienziale, manipolabile e condiviso.
GLI STANDARD PER LA PRODUZIONE DI CONTENUTI DI ELEARNING AIUTANO O RALLENTANO LA CREAZIONE DI OGGETTI DI ELEARNING ESPERIENZIALI?
La teoria di Knowles [11] propone un modello educativo in cui
– gli adulti hanno bisogno di imparare in maniera esperienziale, pertanto l’istruzione va condotta non nel senso della memorizzazione di contenuti teorici, ma deve essere basata sulla presentazione di compiti e situazioni problematiche ispirate a situazioni della vita reale.
– gli adulti si avvicinano all’apprendimento attraverso la risoluzione di problemi; le strategie da usare sono case studies, role playing, simulazioni e autovalutazioni.
L’ Experiential Learning si basa sulla teoria che l’apprendimento è un processo di adattamento alla realtà esterna e che, quindi, un processo di apprendimento che non comporti un adattamento in realtà non conduce ad un reale apprendimento. Gli studi di Andragogia dimostrano che gli adulti imparano attraverso l’esperienza, la soluzione di problemi, la ricerca di nuova conoscenza.
Un modello formativo di tipo esperenziale, pertanto, seguirà un approccio induttivo, dall’esperienza specifica alla generalizzazione; richiederà un ruolo maggiormente attivo di chi apprende; consentirà di far leva sui fattori efficaci ai fini dell’apprendimento tra cui la sperimentazione diretta, e il coinvolgimento emotivo .
L’e-learning e le nuove tecnologie applicate alla didattica si dimostrano il modello ideale per un apprendimento subordinato all’esperienza, condizionato alla sperimentazione, al fare, a provare, a scoprire. Ciò nella progettazione e-learning implica ridisegnare, creare, integrare l’apprendimento on line secondo modelli didattici più active e interattivi corrispondenti ai first principles evidenziati da David Merrill (2001).
Gli approcci pedagogici innovativi mediante tecnologie della comunicazione necessitano di essere esplorati sistematicamente, sviluppati, validati e implementati in maniera creativa. Una prospettiva promettente è il design di ambienti per l’apprendimento cognitivi basati sul “cosa conosciamo” e “come veramente apprendiamo”, che sviluppano skill di performance e competenze euristiche e costruiscono conoscenza significativa e trasferibile. Perché un oggetto sia realmente formativo deve possedere due qualità principali: la continuità dell’esperienza e la manipolazione diretta.
Gli strumenti cognitivi aiutano i discenti ad interpretare e manipolare insieme gli aspetti dei problemi nell’’ottica di un apprendimento significativo [12] . Vanno quindi supportati principi di instructional design costruttivisti in cui il learner sia capace di costruire la sua esperienza di apprendimento e produrre un suo proprio framework della conoscenza acquisita durante l’esperienza, facendo però attenzione perché l’ipermedia si può anche rivelare un’arma a doppio taglio per l’instructional design: non è certo essenziale per aumentare l’apprendimento ma può aggiungere molti elementi di appeal all’insegnamento.
PASSANDO DA LEARNING OBJECT A KNOWLEDGE OBJECTS
Nella didattica tradizionale come in quella supportata da tecnologie telematiche è cresciuto negli ultimi dieci anni l’interesse verso la tecnologia del RLO (Reusable Learning Object) unità di conoscenza autoconsistente, con un obiettivo didattico ben definito, di dimensioni ridotte, usabili, riusabili, interoperabili, reperibili tramite apposite descrizioni o metadati.
Tendenza che nasce dalla necessità di standardizzare e rendere riutilizzabile il materiale formativo per l’e-learning al fine di progettare percorsi formativi sia curriculari che individuali flessibili in base alle esigenze di un utente, suddivisibili in unità formative autosufficienti, autonome e aggregabili sulla base di nuove e diverse esigenze, consentendo così di ammortizzare i costi elevati della progettazione didattica dei materiali per la formazione basata sulle nuove tecnologie.
Un Learning Object, nella sua accezione più comune, è inteso come una unità di contenuto autonoma sulla quale si basa il percorso di apprendimento; organizzando opportunamente sequenze di diversi LO si ottiene un percorso formativo “personalizzato”.
Il futuro (quasi presente) dei Learning Object non è nella loro estrema atomizzazione, ma nelle modalità in cui è possibile mantenere al tempo stesso, la granularità e l’autosussistenza, con l’orientamento alla totalità. [13]
Un modello di architettura per Learning Objects dovrebbe includere :[14]
– un ambiente per il problem solving che contiene ogni cosa utile per l’apprendimento,
– un ambiente “problema” che contiene le risorse utili,
– percorsi di navigazione tra le differenti collocazioni delle risorse,
– modelli causa/effetto o modelli evento invisibili alla visualizzazione,
– controlli e indicatori all’interno delle risorse, connessi ai modelli,
– uno o più problemi da risolvere all’interno dell’ambiente “problema”,
– modelli di performance esperta che possano essere osservati,
– risorse che forniscano informazioni per l’uso nella soluzione di problemi
– strumenti che possano esser utilizzati per generare informazioni o memorizzare informazioni
– offerta di tutoring, feedback, interpretazioni, spiegazioni o altri aiuti al problem solving
Ogni iniziativa formativa strutturata si basa su una mediazione didattica ed i LO dovrebbero integrarsi nel mix di agenti su cui si basa la stessa mediazione. Queste importanti linee guida possono essere applicate per la progettazione e la realizzazione di interventi formativi allargando gli orizzonti della progettazione basata sui learning object, non come sinonimo di lezione in autoistruzione (Landriscina, 2004) ma come veri e propri oggetti di conoscenza (Knowledge objects).
La risposta alla questione “come apprendo e come condivido quanto appreso” va data tenendo conto sia del principio dell’interoperabilità degli oggetti di apprendimento, sia della gestione delle conoscenze attraverso il networking e la condivisione. l passaggio quindi da LO a KO avviene generando oggetti che si aggiornano dinamicamente assemblandosi da una molteplicità di fonti comprese le conversazioni in rete. Quindi gli oggetti di conoscenza devono poter muoversi in ambienti tecnologici pervasivi e integrati.
Il concetto di “Super motivazione” preso da Spitzer [15] da molto valore alle attività che vengono proposte piuttosto che alle attitudini individuali dei learner. Più elementi motivanti contiene il contesto di una attività, più motivante sarà l’esperienza di questa attività. [16]
Da qui, i fattori motivanti che una situazione di apprendimento dovrebbe contenere sono : [17]
– Azione: una partecipazione attiva al processo di apprendimento. L’attività può essere sia di natura fisica che mentale.
– Divertimento: Gli elementi divertenti o a sorpresa che diventano parte di un sistema di apprendimento possono evocare un modo giocoso e incoraggiante di utilizzo dei sistemi di apprendimento stessi.
– Varietà: L’uso di media risorse e attività differenti.
– Scelta: I learner devono poter fare in maniera autonoma la selezione di media, di contesti e di percorsi di apprendimento.
– Interazione sociale: Le discussioni di gruppo, il lavoro in team o le consultazioni con gli istruttori giocano una importante funzione motivazionale.
– Tolleranza degli errori: I learner fanno errori e questo è un fattore importante dell’apprendimento.
– Misurazione: Il focus ultimo dell’apprendimento non è un voto ma è il miglioramento personale.
– Feedback: Deve essere formulato positivamente mediante suggerimenti e miglioramenti invece che di puntualizzazioni sugli errori.
– Sfida: Compiti che possono essere padroneggiati non triviali, ma che rappresentino una sfida sufficiente. Particolarmente raccomandati sono gli obiettivi di apprendimento che si pongono gli stessi learner.
– Riconoscimento: La motivazione può essere aumentata se il progresso nell’apprendimento è riconosciuto dal sistema, dagli altri learner e dai docenti.
Sempre secondo Spitzer la super motivazione maggiormente efficace in ambienti complessi di apprendimento multimediali è quella della sfida, della scelta, del divertimento e dell’azione, dal momento che i media più interattivi possiedono un alto potenziale esplorativo di obiettivi di apprendimento.
Gli obiettivi di apprendimento indicano un certo tipo di finalizzazione, ma l’obiettivo è la disposizione ad agire e reagire in un modo specifico. Gli obiettivi di apprendimento devono possedere una certa struttura logica, descrivendo un comportamento inteso, determinati contenuti a cui il comportamento si riferisce, così come una situazione specifica, che concretizza le condizioni esterne per il comportamento desiderato.
La realtà, la prossimità e l’applicazione della conoscenza acquisita possono essere simulate in spazi hypermediali, aree esplorative in cui la ricerca, la valutazione, la strutturazione e la sistemazione delle informazioni si focalizzano al modo in cui l’apprendimento di tipo associativo, occasionale e trasversale può essere spiegato.
Cosa succederebbe se l’esperienza di apprendimento potesse essere intrinsecamente motivante e continuamente e interattivamente manifestata nell’esperienza di apprendimento stesso? [18]
Il naturale processo conoscitivo integra l’apprendimento nella meccanica della ricerca e dell’esperienza tanto da ottenere uno strumento per imparare hic et nunc promuovendo maggiore confiability nella tecnologia mediatica del quotidiano oltre che fornire feedback sufficienti.[19]
Vanno quindi supportati principi di instructional design costruttivisti in cui il learner sia capace di costruire la sua esperienza di apprendimento e produrre un suo proprio framework della conoscenza acquisita durante l’esperienza, facendo però attenzione perché l’ipermedia può essere un’arma a doppio taglio per l’instructional design: non è certo essenziale per aumentare l’apprendimento ma può aggiungere molti elementi di appeal all’insegnamento.
Gee [20] presenta i principi per fare di un gioco un buon strumento di apprendimento (rafforzamento, problem solving e comprensione).
In termini di rafforzamento per i learner:
o Co-design: Learner visti come agenti attivi (produttori) non solo recipienti passivi (consumatori),
o Customizzazione: Diversi stili di apprendimento funzionano meglio con diverse persone,
o Identità: Un apprendimento approfondito richiede impegno e questo è realizzato quando le persone assumono una nuova identità che per loro ha valore,
o Manipolazione: Gli uomini si sentono rafforzati quando possono manipolare strumenti in modi intricati che estendono la loro area di efficacia.
In termini di problem solving:
o Problemi nel corretto ordine: I problemi che affrontano i learner sono cruciali e dovrebbero essere ben progettati perché possano potare i learner a soluzioni che funzionano bene, non solo su quei problemi, ma anche come aspetti di ulteriori soluzioni ad altri problemi.
o Piacevolmente frustranti: I learner lavorano meglio quando le sfide sono difficili ma effettuabili.
o Cicli di expertise: L’expertise si forma attraverso la ripetizione fino a che le abilità non diventino quasi automatiche.
o Informazioni on demand e just in time: Le informazioni dovrebbero essere date quando i learner le usano o quando sentono di averne bisogno.
o Fish Tanks: Creazione di sistemi semplificati focalizzati su poche variabili chiave e le loro interazioni in modo che i learner non si sentano sopraffatti.
o Sandboxes: Creazione di situazioni che sembrano esperienze reali ma senza le conseguenze della realtà.
o Abilità e strategie: Le persone apprendono e praticano le abilità meglio quando vedono un insieme di abilità correlate ad una strategia per raggiungere obiettivi che vogliono raggiungere.
In termini di comprensione:
o Sistemi di pensiero: Le persone apprendono abilità, strategie ed idee meglio quando vedono come si inseriscono in un sistema più ampio in cui essi danno significato.
o Significato come immagine dell’azione: Parole e concetti hanno il loro più profondo significato quando sono chiaramente collegati ad una azione nel mondo.
Quindi anche se spesso affermiamo che quando pensiamo al gioco pensiamo al divertimento e che quando pensiamo all’apprendimento pensiamo al lavoro, i giochi stessi ci dimostrano che ciò è sbagliato.
Houser and Deloach [21] collegano ai giochi i sette principi di Norman [22] per gli ambienti di apprendimento: Modo attrattivo, Obiettivi stabiliti in maniera chiara, Istruzioni brevi, Trasparenza, Coaching sulla performance, Training Wheels, Feedback Consistente.
Gli utenti dovrebbero poter apprendere come cominciare, utilizzando l’applicazione velocemente e col minimo sforzo; dovrebbero sempre conoscere cosa succederà; dovrebbero avere le istruzioni utili per cominciare ed andare avanti autonomamente; non dovrebbero essere fisicamente o psicologicamente distratti dal compito; dovrebbero ricevere utili suggerimenti correlati al compito che essi possano sia adottare che ignorare; dovrebbero avere subito successo con l’applicazione ed essere gradualmente introdotti ad aspetti più complessi attraverso interfacce graduali; dovrebbero infine essere consapevoli di quanto efficaci possano essere le loro azioni per raggiungere gli obiettivi in ogni momento.
Prensky [23]dimostra le numerose abilità che si apprendono giocando: coordinamento oculo-manuale, manipolazione fisica dei controlli, riconoscimento dei pattern, processi mentali e spaziali, propensione all’accuratezza, come gestire processi paralleli e multi-task, come incorporare le informazioni periferiche, come utilizzare e gestire un grande database di informazioni, le abilità di scoperta induttiva ecc.
Brown, Collins, e Duguid [24] mediante un pensiero di tipo costruttivista spiegano la situazione come co-produzione di conoscenza attraverso l’attività. E si soffermano molto sull’importanza dell’apprendimento in situ. Le persone, infatti, che utilizzano gli strumenti piuttosto che solo acquisirli, per contrasto, costruiscono una comprensione ricca e implicita del mondo in cui utilizzano gli strumenti stessi.
L’apprendimento esperienziale è fortemente arricchito mediante l’esperienza di apprendimento attiva e situata.
MA QUALI SONO GLI EFFETTI DEL MULTIMEDIA A LIVELLO COGNITIVO SUI PROCESSI DI INSEGNAMENTO/APPRENDIMENTO?
Vi sono specifici principi del multimedia design [25] mediante i quali gli individui meglio apprendono, ritengono le informazioni e trasferiscono le informazioni stesse ad altri. [26] La combinazione dei concetti experential learning e Learning objects può creare “Interactive Learning Objects”, un modo potente, nuovo ed efficace di creare materiale coinvolgente per l’apprendimento. E’ la logica della e-learning remediation? Combinare immediatezza (trasperenza) e ipermediazione (opacità) nei vari ambienti mediali di apprendimento.
I templates per un design pedagogico di learning Objects di questo tipo, dovrebbero includere:
– il supporto dell’apprendimento esplorativo mediante un uso interattivo delle immagini, in modo che il learner possa cliccare su una immagine o parte di essa ed ottenere maggiori informazioni sul componente (ad esempio il cuore in un corpo umano);
– la descrizione delle informazioni procedurali in maniera visiva, soprattutto per quanto è complesso descrivere in maniera testuale: la visualizzazione quindi, in termini di animazioni, videoclip o modelli di realtà virtuale,
– la descrizione delle fasi del processo o dei differenti passaggi in modo che il learner possa controllare e anche navigarci dentro,
– il supporto dell’apprendimento per ricerca mediante una simulazione interattiva che permetta al learner di testare e di provare come le variabili influenzino il fenomeno/l’oggetto presentato;
– Il supporto pedagogico mediante presentazioni basate su analogie: la presentazione di fenomeni astratti per mezzo di fenomeni concreti e familiari è una modalità molto efficace per facilitare l’apprendimento.
Learning Object multipli possono essere raggruppati in maniera più ampia o nidificati per essere utili in scopi diversificati.
Hodgins ha coniato il termine “Learnativity” cioè la conoscenza in azione, (know-how e esperienza), una continua conversione a spirale in conoscenza esplicita che può essere catturata, condivisa con altri, diffusa all’interno di gruppi, e convertita in nuova conoscenza tacita attraverso il learning by doing.
Learnativity è il modo di creare nuova conoscenza attivabile e i Learning Objects sono uno dei fondamentali elementi di questa nuova pedagogia.
QUANDO È LA RETE A PRODURRE LO: IL CASO GOOGLE EARTH
La vera interattività [27] è quella in cui le persone possono interagire con il modello di un oggetto o di una situazione, manipolarlo, cambiarlo e osservare sullo schermo le conseguenze delle loro azioni.
La rete si presenta matura per produrre oggetti e-learning esperienziali e manipolabili, in maniera autonoma da parte degli stessi utenti che diventano così non solo fruitori ma anche produttori di apprendimento essi stessi.
Un esempio è Google Earth [28], software “stand alone” e free, la cui caratteristica principale è quella di permettere la visione multimodale del globo terrestre ricostruendo il mondo reale sullo schermo del computer dell’utente offrendogli un’esperienza immersiva di ricerca e visualizzazione dei risultati mediante la visione dall’alto del globo terrestre, anche ingrandendo a piacimento, di qualunque area della Terra. [29]
Il dettaglio della visione aerea della superficie terrestre arriva fino a pochi metri di altezza ma non ancora per tutte le zone del globo (migliore copertura ovviamente per gli Stati Uniti, anche con visione tridimensionale degli edifici e indicazioni stradali). Offre un modello tridimensionale della terra, comprensivo dei dettagli altimetrici della superficie (montagne, colline, alture), la cui superficie è formata tutta dalle immagini (fotografate da satellite o da aeroplano) ad alta risoluzione di città, terreni, laghi, mari, ecc. Su questo modello ci si può spostare nelle quattro direzioni, si può cambiare l’altezza dal suolo da cui si “guarda” e l’inclinazione orizzontale della visione. Per l’Italia sono visualizzabili solo alcune zone (città principali ed alcune aree rurali) con il massimo livello di dettaglio.
Google Earth offre inoltre informazioni aggiuntive (nomi di città e vie, tracciati delle strade e dei confini, ubicazione di punti di interesse – ristoranti, hotel, bar, chiese, ecc) che vengono visualizzate in sovrapposizione alle immagini satellitari, a scelta dell’utente.
Contiene un motore di ricerca dei luoghi, si possono salvare i punti preferiti per poi venirci trasportati “a volo d’uccello”. Nel software è possibile oltre che navigare il mondo intero anche reperire informazioni riguardo i luoghi che si stanno visitando. Per quanto riguarda la qualità delle immagini, nelle zone coperte è veramente notevole (qui di seguito ad esempio uno screenshot di Piazza San Pietro ottenuto con Google Earth). Per le zone non coperte la risoluzione invece è minore e permette di apprezzare gli agglomerati urbani e le caratteristiche dei terreni, ma non oggetti come i singoli edifici.
Google Earth consente, tramite il linguaggio xml, di creare files a contenuto multimediale in forma strutturata. C’è la possibilità di creare il link della cartina che si sta visualizzando, per mezzo di file .kmz (file di salvataggio di GoogleEarth), che poi rimandano la schermata alla “puntina” vituale salvata con GoogleEarth. Molti blog stanno impazzando per questi link e file .kmz, permettendo al mondo intero di mostrare la propria abitazione, o monumenti, particolari aree geografiche, o anche anomalie (tipo ufo…) e cose strane e soprattutto di condividerle in rete. Soo sorti siti collaterali per inviare e condividere il file .kmz salvato da GoogleEarth, così da creare un archivio di località diviso per stato. Google Earth si presenta come un pannello di navigazione, estremamente intuitivo e assolutamente divertente, sul mondo attraverso ricerca, freccette, pulsantini di rotazione, inclinazione e zoom ecc.
Oltre alla entusiasmante esplorazione che si svolge con l’immediatezza, la fluidità e la semplicità di un videogame in soggettiva, Google Earth offre altri strumenti per chi passeggia su tutto il globo restandosene comodamente a casa propria: tutta una serie di livelli selezionabili di informazioni da sovrapporre a quel che si sta vedendo, informazioni provenienti dal National Geographic, help esteso, un piccolo navigatore con vista “globale” la possibilità di sovrapporre propri livelli di immagini, tracciare linee, misurare distanze, impostare percorsi per un “viaggio virtuale” ecc.
Il programma sfrutta il “broadband streaming” (le immagini satellitari) e la grafica tridimensionale per offrire all’utente un’esperienza simile a quella dei videogame.
Un modo rivoluzionario di gestire la ricerca e di visualizzarne i risultati. Infatti, ricostruendo il mondo reale sullo schermo del computer, il motore può mostrare le più svariate informazioni in merito alla zona selezionata localizzando musei, chiese ma anche locali commerciali, con la differenza che qui non si naviga in un mondo virtuale ma in quello reale.
Questo tipo di apprendimento avviene attraverso la percezione e l’azione motoria sulla realtà. Si percepisce un oggetto o un evento con la vista, l’udito, il tatto; si interviene su di esso con la propria azione e si produce un cambiamento nella percezione, cambiamento che è funzione della azione prodotta e della natura dell’oggetto. Siccome l’azione è nota all’individuo che l’ha prodotta, la percezione differenziale (la reazione constata) produce una conoscenza dell’altro termine, la natura dell’oggetto. Il processo è naturalmente accrescitivo: in base al risultato ottenuto, si può ancora agire e questo produce un nuovo effetto, che guiderà la prossima azione, e così via. Questo apprendimento si chiama “percettivo-motorio”, proprio perché è basato su cicli ripetuti di percezione-azione.
I FILE .KMZ SONO LO O KO?
Alcune idee fondamentali sulle caratteristiche di un LO, basate su alcuni requisiti, sia didattici che tecnici e su una determinata struttura interna, sono oramai consolidate.
I file di scambio di Google Heart sono sicuramente unità di conoscenza autoconsistenti, di dimensioni ridotte , usabili e riusabili in diversi contesti, interoperabili, facilmente reperibili tramite apposite descrizioni o metadati. Quello che li distingue da LO veri e propri la mancanza di obiettivo didattico ben definito, non essendo originariamente stato pensato per l’apprendimento in senso stretto.
Allo stesso tempo però possiamo dire che i file di scambio di Google Earth sono sicuramente KO, in quanto posseggono molte delle caratteristiche che contraddistinguono i KO.
Permettono infatti la cattura di contenuti in maniera indipendente da parte dell’utente, fornendo canali sia taciti che espliciti di conoscenza di tipo geografico, culturale e non solo.
Google Earth permette di unificare e sveltire il Learning e il Doing, favorendo il Learning Just in time minimizzando il tempo che intercorre tra la nascita dell’esigenza formativa, l’individuazione della risorsa formativa necessaria, l’utilizzo della risorsa e la messa in contesto dell’appreso utilizzando la conoscenza del “Doing” per il “Learning”
Riprendendo il discorso del soddisfacimento dei Principi Primi dell’Istruzione di D. Merrill (problem, activation, demonstration, application, integration) possiamo affermare che le funzionalità del software le riprendono in maniera egregia, infatti:
– Problem: dal trovare la posizione della propria abitazione o un qualsiasi altro posto al mondo, all’esplorazione serendip del globo, l’utente ha un problema da risolvere e ha i mezzi per farlo.
– Activation: l’utente attiva le sue preconoscenze geografiche e utilizza il motore di ricerca, per individuare (anche mediante coordinate, se le conosce) i luoghi desiderati, aggiustando anche il tiro, dirigendo il volo, zoomandolo, esplorando luoghi vicini ecc.
– Demonstration: il software di (mostra) in maniera grafica tutte le informazioni che l’utente necessità, permettendogli in qualunque momento di continuare a manipolare l’oggetto finchè non assumerà la forma, e non conterrà quanto l’utente cercava.
– Application: l’utente applicherà la conoscenza ricercata al contesto in cui voleva collocarla, che sia semplicemente l’aver trovato la propria abitazione e il mandarla via mail agli amici, oppure una research didattica ed esplorativa da inserire in contesti di apprendimento geografici ecc.
– Integration: i file .kmz così ottenuti possono essere personalizzati, condivisi e letti da altri utilizzatori (o anche semplicemente visualizzati tipo immagini standard).
Nella storia delle tecnologie didattiche si sono delineati due diversi modi di intendere l’uso della tecnologia come strumento di supporto al processo di apprendimento: le tecnologie “piene” e le tecnologie “vuote”. GoogleEarth è una tecnologia “vuota” in quanto priva di contenuti predeterminati e preconfezionati, ma ricca di informazioni utili e abilitanti che devono essere ricavate attraverso l’esplorazione, l’interazione, l’analisi.
Favorisce, appunto, un apprendimento situato ed esperienziale di tipo percettivo – motorio attraverso un coinvolgente processo graduale di esplorazione e scoperta compiuto in prima persona da chi apprende. L’osservazione diretta e l’interazione con la realtà che si vuole conoscere determina una piena comprensione e interiorizzazione dell’oggetto studiato e dunque una maggiore ritenzione nel tempo di ciò che si è appreso.
La Competizione e integrazione tra media vecchi e media nuovi ci permette di allargare l’orizzonte di indagine per approdare al concetto di “convergenza multimediale”.
Il cyberspazio mira ad ‘un tipo particolare di rapporto tra le persone’ capace di promuovere la condivisione delle potenzialità individuali (concetto di ‘intelligenza collettiva’) e di dare vita a nuove forme di prossimità e comunità virtuali [Levy 1997].
I LO concepiti come prodotti decontestualizzati di un’attività di progettazione istruzionale possono catturare solamente la conoscenza esplicita in un dato dominio; la componente tacita, in certi casi assai rilevante, emerge dall’interazione comunicativa tra i membri di una comunità di pratica che operano in situazioni reali [Wenger et al. 2002; Alvino e Sarti, 2004].
I LO sono cioè il prodotto di un processo di reificazione e partecipazione che vede coinvolta tutta la comunità di apprendimento [Wenger 1998]. La conoscenza è sempre un processo reciproco.
In quest’ottica si propone accanto a Google Earth strumenti quali i Weblog, gli elementi interattivi del social networking e gli
strumenti di collocazione sistematica della conoscenza (Ligorio, Habermas, 2006).
Le reti di conoscenza degli utenti e le comunità di pratica (o semplicemente comunità di condivisione e scambio) sorte dal basso, attorno agli utenti stessi, diventano gli epicentri per la creazione e la condivisione della conoscenza tacita, di risorse e di luoghi e informazioni.
Le reti sociali sono molto dinamiche, le conversazioni si aggregano agli oggetti di conoscenza creati e condivisi da una ampia gamma di fonti, dalle risorse tradizionali, ai blog individuali, ai forum alla conoscenza condivisa.
Gli oggetti di conoscenza vengono così sganciati dai repositories tradizionali e puntano allo scambio con altri utenti, mediante un potente e dinamico strumento di condivisione (soprattutto a costo quasi zero, quindi accessibile alla maggioranza degli utenti)
Concludiamo…..o apriamo una finestra sul cortile?
Può la tecnologia (o se vogliamo in altri termini: come può la tecnologia), sfruttando le logiche reticolari che essa offre, migliorare il trasferimento di conoscenza? È in grado la tecnologia di riuscire a innovare un processo trasmissivo tradizionalmente esperienziale e tacitamente codificato, sostituendosi ad esso come strumento efficace ed equipollente di apprendimento?
Vorremmo soffermare l’attenzione sul rischio che si presenta dovendo lavorare per una formazione che si avvale di tecnologie educative standardizzate , quello cioè di assolutizzare (o “ipostatizzare”) la tecnologia”(atteggiamento tecnocentrico), con il conseguente appiattimento del modello formativo sul sistema comunicativo.
Cosa vuol dire “assolutizzare” la tecnologia? Significa vederla come un sistema di vincoli oggettivi, incontrovertibili, a cui dobbiamo ridurre il nostro pensiero e la nostra immaginazione e quindi anche i nostri modelli formativi e didattici ( Stardands e Learning objects…).
Assolutizzare la tecnologia ha una conseguenza diretta per ciò che riguarda la formazione: quella di instaurare equazioni del tipo: una buona tecnologia educativa de ire e de facto ( rispondente a stardas di vario tipo e a vari livelli) equivale ad una buona metodologia di apprendimento (e viceversa).
Vorremmo dunque contrapporre all’idea assolutizzante e definitoria un’idea ecologica e contestualizzata della tecnologia, quella cioè di una tecnologia come elemento all’interno di un contesto culturale- sociale modificabile (se qualcuno è interessato ad andare oltre su questa strada, cfr. opere di Levy); Una tecnologia della comunicazione non è- tout court- una tecnologia dell’apprendimento, e questo apssaggio richiede sempre e comunque un intervento del progettista della formazione che comporta necessariamente in una serie di alterazioni che il progettista deve apportare.
La tecnologia si colloca sempre e comunque all’interno di un sistema in cui gran parte è data da componenti extratecnologiche. Ora su questi fattori extratecnologici che possono interagire-integrarsi variamente con la tecnologia va orientata primariamente l’attenzione. Sono il luogo in cui si generano le scelte primarie (di valore) che possono illuminare di senso (o non senso) l’impiego della tecnologia stessa (a fini formativi o no). Informal Learning e KO, ci portano ad osservare che una parte considerevole di ciò che impariamo, in particolare di ciò che siamo in grado di utilizzare nell’ambito del lavoro, non proviene da corsi strutturati e formalizzati, ma da molteplici fonti con cui veniamo in contatto, che non sono ingessate in parametri e tecnologie “volte esplicitamente a”.
Volendo il progettista e gestore di formazione è in grado di trasformare un insieme di possibilità tecnologiche e comunicative in “ambiente di apprendimento”( vedi anche i suggerimenti per revisionare G E in tal senso….verso ad esempio il social networking…).
I “tralignamenti” sono quasi sempre necessari: allestire un ambiente educativo è imporre intorno ad un supporto tecnologico un sistema di regole, vincoli, consegne ecc… i sistemi tecnologici e comunicativi, nel momento in cui entrano nell’ottica della formazione, vanno ripensati, riadattati, integrati (nell’ottica della concezione formativa assunta). Oggi noi tutti abbiamo a disposizione una grande quantità di informazioni1, certo. Disporre di informazioni, tuttavia, non basta per generare apprendimento: è necessario un processo che possa trasformare le informazioni in conoscenze, seguito dalle rispettive astrazioni: “Informazione”(2) e “Conoscenza”(3).
Come abbiamo visto G E a nostro avviso risponde ai requisiti di stimolazione di apprendimento innescando processi di conoscenza apprenditiva su specifche necessità di sapere immediato integrando il quotidiano nella rete, favorendo manipolazione ed esperienza, spostando gradualmente l’obiettivo sui processi di diffusione e condivisione di conoscenza da cui un “cittadino digitale” non può rimanere escluso.
– di Giuseppina Rita (Jose) Mangione e Caterina Policaro
——-NOTE——
[1] Il video si può scaricare qui http://www.mprove.de/uni/asi/futureshock.html (attenzione pesa 45M).
[2] Edgar Morin in: La testa ben fatta
[3] P. Levy, Cybercultura. Gli usi sociali delle nuove tecnologie, Milano, Feltrinelli, 1999
[4] P, Levy, Virtuale, Milano, Raffaello Cortina, 1997
[5] Antonio Caronia, L’apprendimento attraverso forme non istituzionali: libera ricerca di informazioni, comunicazione, fruizione di materiali non direttamente finalizzati alla formazione.
[6] Gardner [1991] definisce le 7 intelligenze umane (linguaggio, analisi logico-matematica, rappresentazione spaziale, pensiero musicale, uso del corpo, comprensione degli altri e comprensione di noi stessi), 7 modi di conoscere il mondo a disposizione di tutti gli individui, che vengono differenziati dal profilo delle intelligenze, cioè dal modo in cui esse vengono chiamate in causa e combinate fra loro per portare a termine i propri compiti.
[7] [Antinucci, 2001]
[8] (Bolter e Grusin)
[9] Vedi The user as content online in Levinson, 1999, 39.
[10] KNOWLES M S (1990) The Adult Learner: a neglected species (4th edition) Houston: Gulf Publishing
[11] Joseph Novak, 2001
[12] http://formare.erickson.it/archivio/nov_dic03/7mangione.html
[13] The Nature and Origin of Instructional Objects – Andrew S. Gibbons Jon Nelson Utah State University & Robert Richards Idaho National Engineering and Environmental Laboratory
[14] Spitzer, D. R. (1996): Motivation: The Neglected Factor in
Instructional Design. In: Educational Technology; 5–6, S. 45–49.
[15] ICON – Identity formation in contextual media culture a research project supported by the European Commission. Stefan Sonvilla-Weiss © 2005 – Learning Objects – a didactical model – University of Art and Design Helsinki
[16] Spitzer, 1996, 46ff
“How might game designers apply constructivist and/or behaviorist learning to create effective educational games that emphasize transformative play?” – Brad Paras | IAT810 | October 26, 2004
[17] Houser & Deloach, 1999
[18] Gee, J.P. (2004). Learning by Design: Games as Learning Machines. Gamasutra. CMP Game Group. Retrieved October 10, 2004 from http://www.gamasutra.com/gdc2004/features/20040324/gee_01.shtml
[19] Houser, R. & Deloach, S. (1999). Learning from Games: Seven Principles of Effective Design. Technical Communication, Third
[20] Prensky M. (2001) Digital Game-Based Learning http://www.games2learn.com/ Marc’s home page
[21] Brown, J.S., Collins, A., Duguid, P. (1989). Situated Cognition and the Culture of Learning. Educational Researcher. January-February 1989. 32-42.
[22] Secondo Doolittle e altri
[23] Principio della multimedialità, principio della modalità, principio di ridondanza, principio di coerenza, principio di segnalazione, principio di contiguità, principio di segmentazione.
[24] Secondo Parisi
[25] http://earth.google.com/
[26] C’è anche una versione a pagamento (20 dollari), Google Earth Plus. Dove le immagini hanno una risoluzione ancora maggiore con dettagli fini sui palazzi e c’è un sistema di supporto per le periferiche Gps oltre che la possibilità di disegnare sul terreno mostrato nell’immagine, per esempio la casa che uno intende costruire, chiamato www.googleglobe.com,
[27] La dimensione ottimale o granularità di un LO è tuttora al centro di discussioni legate alle possibilità di riuso del LO, a loro volta connesse con la decontestualizzazione e al rapporto inverso esistente proprio tra contesto e dimensioni.
BIBLIO ESSENZIALE
Alvino S., Sarti L., “Learning objects e costruttivismo”
http://www.comunedasa.it/elearning/lo_costruttivismo.pdf
Clark Quinn and Samantha Hobbs (2000). Learning objects and instructional components. Educational Technology and Society. 3(2), 2000 http://ifets.ieee.org/periodical/vol_2_2000/discuss_summary_0200.html
David Merrill (2000). Knowledge objects and mental models, in David Wiley, Ed., The Instructional Use of Learning Objects. http://www.id2.usu.edu/Papers/KOMM.PDF
Doolittle P. E. (2001) Multimedia Learning: Empirical Results and Practical Applications, Virginia Polytechnic Institute and State University
http://www.ipfw.edu/as/tohe/2001/Papers/doo.htm
Doolittle, P. (2001). Multimedia learning: Empirical results and practical applications. Virginia Polytechnic Institute and State University: Research begins to identify various design principles that are both theoretically grounded and educationally applicable. Examines and provides examples of principles of effective multimedia design that are grounded in cognitive psychology. http://www.ipfw.edu/as/tohe/2001/Papers/doo.htm
Gardner, H. (1991) Educare al comprendere, Feltrinelli
Knowles M., Quando l’adulto impara, FrancoAngeli, Milano 1996
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