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Analfabeti d’Italia. Rabbrividiamo.

Un’analisi terrorizzante della capacità degli italiani di comprendere ciò che viene scritto e detto. Internazionale, 7/13 marzo 2008 Autore dell’articolo: – Via http://eddyburg.it/article/articleview/10848/0/65/

(foto di Celeste)

Cinque italiani su cento tra i 14 e i 65 anni non sanno distinguere una lettera da un’altra, una cifra dall’altra. Trentotto lo sanno fare, ma riescono solo a leggere con difficoltà una scritta e a decifrare qualche cifra. Trentatré superano questa condizione ma qui si fermano: un testo scritto che riguardi fatti collettivi, di rilievo anche nella vita quotidiana, è oltre la portata delle loro capacità di lettura e scrittura, un grafico con qualche percentuale è un’icona incomprensibile. Secondo specialisti internazionali, soltanto il 20 per cento della popolazione adulta italiana possiede gli strumenti minimi indispensabili di lettura, scrittura e calcolo necessari per orientarsi in una società contemporanea. Questi dati risultano da due diverse indagini comparative svolte nel 1999-2000 e nel 2004-2005 in diversi paesi. Ad accurati campioni di popolazione in età lavorativa è stato chiesto di rispondere a questionari: uno, elementarissimo, di accesso, e cinque di difficoltà crescente. Si sono così potute osservare le effettive capacità di lettura, comprensione e calcolo degli intervistati, e nella seconda indagine anche le capacità di problem.solving. I risultati sono interessanti per molti aspetti. Sacche di popolazione a rischio di analfabetismo (persone ferme ai questionari uno e due) si trovano anche in società progredite. Ma non nelle dimensioni italiane (circa l’80 per cento in entrambe le prove). Tra i paesi partecipanti all’indagine l’Italia batte quasi tutti. Solo lo stato del Nuevo Léon, in Messico, ha risultati peggiori. I dati sono stati resi pubblici in Italia nel 2001 e nel 2006. Ma senza reazioni apprezzabili da parte dei mezzi di informazione e dei leader politici.

Nelle ultime settimane, però, alcuni mezzi di informazione hanno parlato con curiosità del fatto che parecchi laureati italiani uniscono la laurea a un sostanziale, letterale analfabetismo. Questa curiosità vagamente moralistica è meglio di niente? No, non è meglio, se porta a distrarre l’attenzione dalla ben più estesa e massiccia presenza di persone incapaci di leggere, scrivere e far di conto (quello che in inglese chiamiamo illiteracy e innumeracy e in italiano diciamo, complessivamente, analfabetismo). È notevole che l’analfabetismo numerico (l’incapacità di cavarsela con una percentuale o con un grafico) non abbia neanche un nome usuale nella nostra lingua.

È grave non saper leggere, scrivere e far di conto? Per alcuni millenni – dopo che erano nati e si erano diffusi sistemi di scrittura e cifrazione – leggere, scrivere e far di conto furono un bene di cui si avvantaggiava l’intera vita sociale: era importante che alcuni lo sapessero fare per garantire proprietà, conoscenze, pratiche religiose, memorie di rilievo collettivo, amministrazione della giustizia. Ma nelle società aristocratiche a base agricola, purché ci fossero alcuni letterati, la maggioranza poteva fare tranquillamente a meno di queste capacità. I saperi essenziali venivano trasmessi oralmente e perfino senza parole. Anche i potenti potevano infischiarsene, purché disponessero di scribi depositari di quelle arti. Carlo v poteva reggere un immenso impero, ma. aveva difficoltà perfino a fare la firma autografa.. Le cose sono cambiate in tempi relativamente recenti almeno in alcune aree del mondo. Dal cinquecento in parte d’Europa la spinta della riforma protestante, con l’affermarsi del diritto-dovere di leggere direttamente Bibbia e Vangelo senza mediazioni del clero, si è combinata con una necessità creata dal progredire di industrializzazione e urbanizzazione: quella del possesso diffuso di un sapere almeno minimo. In seguito è sopravvenuta l’idea che tutti i masch i abbienti, poi tutti i maschi in genere, infine perfino le donne, potessero avere parte nelle decisioni politiche. La "democrazia dei moderni" e i movimenti socialisti hanno fatto apparire indispensabile che tutti imparassero a leggere, scrivere e far di conto. Il solo saper parlare non bastava più. E in quelle che dagli anni settanta del novecento chiamiamo pomposamente "società postmoderne" o "della conoscenza”; leggere, scrivere e far di conto servono sempre, ma per acquisire livelli ben più alti di conoscenza necessari oggi all’inclusione, anzi a sopravvivere in autonomia.

L’analfabetismo italiano ha radici profonde. Ancora negli anni cinquanta il paese viveva soprattutto di agricoltura e poteva permettersi di avere il 59.2 per cento della popolazione senza titolo di studio e per metà totalmente analfabeta (come oggi il 5 per cento). Fuga dai campi, bassi costi della manodopera,, ingegnosità (gli "spiriti vitali" evocati dal presidente Napolitano) lo hanno fatto transitare nello spazio di una generazione attraverso una fase industriale fino alla fase postindustriale. Nonostante gli avvertimenti di alcuni (da Umberto Zanotti Bianco o Giuseppe Di Vittorio a Paolo Sylos Labini), l’invito a investire nelle conoscenze non è stato raccolto né dai partiti politici né dalla mitica "gente". Secondo alcuni economisti il ristagno produttivo italiano, che dura dagli anni novanta, è frutto dei bassi livelli di competenza. Ma nessuno li ascolta; e nessuno ascolta neanche quelli che vedono la povertà nazionale di conoscenze come un fatto negativo anzitutto per il funzionamento delle scuole e per la vita sociale e democratica.

10 thoughts on “Analfabeti d’Italia. Rabbrividiamo.

  1. Quindi chi, come me, ha un blog tecnico, scrive per una  ristretta minoranza di gente che è interessata all’argomento pescata nella minoranza di quelli che non sono analfabeti.
    E’ proprio come dici tu: terrorizzante 🙁

  2. Ah, però vedrai che il cellulare ce l’hanno tutti e di certo non ignorano veline e calciatori. Perchè stupirsi? Un po’, questa situazione, ce la siamo anche creata, oppure no?

  3. Posso semplicisticamente dire che di studi di questo genere se ne fanno dappertutto e invariabilmente il risultato è "la situazione è drammatica ovunque ma da nessuno drammatica come da noi"? Mi sembra di leggere, tradotto dall’inglese, un articolo che devo aver visto almeno cinque volte su giornali americani e inglesi negli ultimi due anni.
    Sicuramente stiamo nella cacca. Sicuramente l’analfabetismo di ritorno è un fenomeno di dimensioni preoccupanti. Ma sicuramente i media fanno, come si dice a Napoli, gli spaventamaruzze. Occhi a dargli retta, che si finisce con le invasioni preventive.

  4. E’ tremendo.
    I popoli del mondo si evolvono e noi torniamo indietro al dopo guerra.
    La cosa grave è che si poteva sospettare un impoverimento della cultura Italiana. Basta guarda la tv su quei programmi popolari tipo uomini e donne, amici…
    La gente non sa più nemmeno parlare: congiuntivi e condizionali sono sconosciuti persino ai nostri politici…
    Mi capita sempre più spesso di pensare che non mi riconosco più in questi Italiani.
    Che vergogna

  5. Ci siamo voluti "evolvere" troppo in fretta. Il nostro paese vive molto al di sopra delle proprie possibilità, in senso sia economico, sia culturale, sia sociale.

  6. Quel 5% causato dagli immigrati. Essì. Son reduce da una lezione di Scienze Politiche in Università Cattolica (Milano), dove si parlava di tasso di alfabetizzazione in relazione al reddito. E ovviamente quel 5% di analfabetismo nei paesi ad alto reddito è "colpa degli immigrati che… insomma… arrivano nei paesi del nord economico del mondo…analfabeti…"
    Ho avuto un brivido freddo, ma mi son trattenuta. Con difficoltà, confesso.

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